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al testo di Michele Brancale
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La voce
Nonostante siano passati anni dalla fine della guerra, mi sveglio di soprassalto nella notte, preso da quella stessa voce che mi spinge, ogni giorno, a costruire una diga al male che deflagra, all’esplosione.
Le luci del mare
Nel mare non c’è una madre che vada a parlare, a portare le sue cure ad un figlio travolto dalle onde.
Il piano sommerso vive nel buio, è un abisso profondo, rischiarato da chi fa sosta pensando lo sfondo.
A Donato
Fuori si è scatenato un temporale. Lo sento nella notte come anche il maestrale che agita la valle, lo stesso vento, la furia del cielo quando eravamo al turno di vedetta, di guardia, ad osservare le scintille della ciminiera, la prora fiera sfidare il mare e le sue strade oscure, un destino che ora vaga nell’acqua.
Dal fondo delle onde sembravano scaturire le forme di esseri neri, quelli che venivano a darci il cambio, come lo davo anch’io a te nella stanza dei radiotelegrafisti, cedendo la cuffia alle tue mani, agli occhi gonfi di sonno il brogliaccio, la sicurezza della rotta su uno sfondo di lampi.
Il canto di Capodanno
Il danno dell’affanno sembra torni al punto di partenza, nell’angolo della casa accanto dove c’è scritto, sulla porta: «Ieri». Intorno al fuoco aspettiamo l’istante che riporti il tempo nei locali del granaio, così capiente: i fiori dal fioraio.
[ da L’apocrifo nel baule, Michele Brancale, Passigli Poesia ]
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